mercoledì, luglio 14, 2010

Greetings from Islamabad

Dopo un mese di giugno lavorativamente tranquillo, ecco arrivare luglio ed ecco arrivare un impegno di lavoro interessante (e che quindi ho prontamente accettato). Così domenica scorsa, preparati i bagagli, ho raggiunto l'aeroporto di Fiumicino per imbarcarmi, in compagnia di altri 3 colleghi, sull'aereo della Fly Emirates delle 15.20 con destinazione finale Islamabad, Pakistan, raggiunta dopo più di 12 ore di viaggio compresa una lunga sosta all'aeroporto di Dubai.

Il primo contatto con il paese è rappresentato dall'arrivo all'aeroporto della capitale pakistana: decisamente l'aeroporto internazionale peggiore che mi sia mai capitato di vedere nella mia breve vita di viaggiatore. Una lunga e caotica fila per il controllo passaporti ed una estenuante attesa al nastro bagagli per riprendere le nostre cose. Una volta fuori le prime percezioni mi riportano al 2007 e alla mia esperienza in Bangladesh: una fitta folla di persone ad aspettare chissà chi, caos, caldo afoso e qualche strano odore nell'aria. Anche lungo il tragitto che ci porta dall'aeroporto al Marriott Hotel (tristemente famoso per un paio di attentati negli anni scorsi, l'ultimo dei quali nel 2008) molto di quello che mi circonda mi riporta al 2007 e a Dhaka: i coloratissimi truck che trasportano di tutto, il traffico caotico i continui colpi di clacson e la guida a sinistra, i pedoni che attraversano incautamente l'autostrada facendo lo slalom tra le auto vetuste e diroccate, la gente in attesa ai lati della strada, i bus più che strapieni (vedi foto). Con, però, una importante differenza: la città è più che militarizzata, ci sono guardie armate dappertutto e posti di blocco continui: lo stesso Marriott Hotel (che tra l'altro si trova in un quartiere "in", nelle immediate vicinanze di case importanti e del palazzo del Parlamento) è praticamente una fortezza (o una prigione di lusso per gli ospiti), difesa da decine e decine di persone armate e con accuratissimi controlli di sicurezza per chiunque voglia entrare.

Detto questo c'è anche da dire che, a parte il pericolo rappresentato dalla viabilità, girare per Islamabad non sembra eccessivamente pericoloso: lungo i nostri tragitti (anche se rigorosamente accompagnati) le strade sono apparse sufficientemente pulite, non ci sono evidenti tracce di miseria e lerciume, le costruzioni sono relativamente moderne. E' piuttosto curioso girare di notte per le strade dotate di pali per illuminazione ma rigorosamente tutti spenti, probabilmente a causa della crisi energetica. Anche la temperatura è piuttosto accettabile: di giorno è caldo-umido ma frequentemente un piacevole vento proveniente dalle montagne porta un po' di sollievo. Calato il sole la situazione migliora notevolmente. E l'ospitalità e la bontà delle persone conosciute finora è più che eccezionale: naturalmente, dai normali discorsi intavolati si percepisce immediatamente questa sorta di odio atavico che hanno per tutto ciò che è americano.

Al terzo giorno di permanenza, c'è poco altro da dire. Ieri sera ci hanno portato a cena in un villaggio poco fuori Islamabad, a ridosso delle montagne a nord, che a parte la comodità dell'elettricità è rimasto intatto dalla sua nascita come agglomerato, più di 200 anni fa. Domani invece si dovrebbe entrare nel pieno dell'attività lavorativa che, per il momento, procede abbastanza lentamente.

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