venerdì, luglio 27, 2007

Cronache dal Bangladesh - giorno 7

OVVERO, Aqiq: "Water and water everywhere"

Alle 10 in punto, come stabilito, Aqiq ci viene a prendere. Il tempo sembra reggere: certo, non c'è il sole ma neanche la pioggia, e tra l'altro non sembra esserci neanche il caldo soffocante dei giorni precedenti.
Ci dirigiamo verso nord-est, passiamo l'aereoporto Zia e andiamo fuori città, lungo strade completamente devastate dai recenti 20 giorni consecutivi di pioggia. La destinazione è un "piccolo" affluente del Buriganga, dove ci imbarchiamo a bordo di una tipica imbarcazione locale (fatta di bambù e sospinta da un vecchissimo motore cinese rumorosissimo e dai neri e pesanti gas di scarico) per una gita lungo il fiume. La cosa ci da la possibilità di osservare direttamente la vita di tutti coloro che abitano nei pressi del fiume, che dall'acqua traggono sostentamento e a causa dell'acqua, soprattutto in questo periodo, rischiano la propria casa e i propri beni e affetti. E ci da diretta testimonianza di che cosa voglia dire la stagione delle piogge per questa nazione, questa città, questa gente.
Vediamo acqua dappertutto e non capiamo come questo possa essere, secondo le parole di Aqiq, un "piccolo" fiume. Aqiq ci dice che la maggior parte dell'acqua che vediamo è il prodotto delle inondazioni, e i cartelli pubblicitari, i tralicci dell'alta tensione e alcuni isolati alberi che spuntano dal livello dell'acqua ne sono una dimostrazione. Lungo il nostro tragitto vediamo un po' di tutto: imbarcazioni di pescatori di piccola, media, grande fattura; imbarcazioni per il trasporto, barconi-discoteca con impianti sonori di bassissima qualità e pieni di adolescenti che ballano e si divertono; gente che si arrampica sui tralicci dell'alta tensione mezzo-sommersi per tuffarsi nel fiume; intere famiglie che fanno il bagno; capre e mucche che mangiano su piccoli lembi di terra circondati dalle acque; e soprattutto gente che lavora; chi a riparare barche, chi a montare reti e a pescare, chi su piccole piattaforme utilizzate per estrarre sabbia dal fiume. Aqiq ci spiega che la strada che abbiamo percorso per arrivare all'attracco è nettamente più alta del fiume e riesce a proteggere le terre vicine dai momenti di piena del fiume stesso. Durante questi stessi periodi di piena viene estratta sabbia dal fiume e, con condutture lunghe anche alcuni chilometri, viene depositata nelle paludi vicine. La sabbia sedimenta bene e velocemente e quindi le zone che si vengono così a formare sono edificabili nel giro di poco tempo.

Torniamo indietro e proseguiamo in macchina, circumnavigando in direzione anti-oraria la città per entrarvi da sud. Passiamo per quartieri poverissimi attraversati da strade devastate. Mercati mattutini dove la merce si può trovare solo di prima mattina, poi viene trasferita nei mercati più importanti della città. Arriviamo al Basundhara City Mall per mangiare in uno dei numerosi fast food dell'ottavo piano. Mangio pizza e crocchette di pollo. La pizza non mi sembra affatto male.
Il pomeriggio è dedicato alla visita al Liberation War Museum, nella New Dhaka, un quartiere principalmente composto di case costruite dagli inglesi durante il dominio britannico, e oggi sede principalmente di facoltà universitarie. Il Liberation War Museum è il più funereo e triste museo che abbia mai visto, ma ci permette di conoscere bene la storia di questo affascinante paese, che di seguito riassumo:
  • avevo già accennato alla dominazione inglese (che iniziò alla fine del secolo 18) e al fatto che, prima di andarsene, costoro abbiano creato delle divisioni in base alla religione: siamo alla fine degli anni 40 e, dove prima di loro c'era un unica grande nazione nonostanze le differenti religioni, dopo di loro ci saranno tante nazioni quante religioni principali. Secondo questo concetto il Bengala, essendo prevalentemente musulmano, viene annesso al Pakistan. Abbiamo così West Pakistan e East Pakistan; in mezzo l'India.
  • Da questo momento la gente del Bengala iniziò a lottare per la propria indipendenza e libertà, prima (anni 50) con il Bengali Language Movement, a difesa della propria lingua e contro la decisione del Pakistan di imporre la propria.
  • Nel 1970, un ciclone devastante piegò la già povera popolazione e l'insofferenza per il governo del Pakistan crebbe a dismisura; il governo pakistano decise allora di iniziare una campagna militare per riportare l'ordine nella religione. I metodi violenti e le migliaia di morti che i pakistani si lasciarono alle spalle diedero inizio agli esodi e ai campi di rifugiati nella vicina India. Sofferenze indicibili raccontate nel museo mediante crude testimonianze principalmente fotografiche.
  • La rivolta contro l'invasore pakistano partì da Dhaka, principalmente mediante i movimenti studenteschi, per poi diffondersi velocemente in tutto il paese. Gente comune, non soldati, si armava e combatteva contro il nemico pakistano. Il resto delle nazioni del mondo si schierarono con l'una o l'altra parte: principalmente da un lato Pakistan, USA e Cina, dall'altra Bengala, India e Russia. L'intervento dell'esercito indiano e gli aiuti ricevuti dalla Russia furono decisivi per la vittoria finale, ma quella del 1970 fu principalmente una vittoria del popolo. Così nel 1971, con la dichiarazione di indipendenza, nacque la Repubblica Popolare del Bangladesh.
  • Gli anni successivi furono difficilissimi per il paese, mentre si scoprivano i resti dei vari genocidi perpetrati dai Pakistani nei confronti della popolazione. Immaginate di entrare in una stanza e di vedere delle teche piene di teschi, omeri, frammenti di gabbia toracica e colonna vertebrale, tutti meticolosamente classificati, mentre al di sopra delle teche sono appese crude fotografie del ritrovamento dei corpi. Questo è quello che vedrete, poco prima di raggiungere l'uscita, se visiterete il Liberation War Museum di Dhaka.
Alle 16.40 siamo di nuovo in albergo; alle 18,30 appuntamento in palestra. Oggi nulla da segnalare a riguardo. Per la serata scegliamo uno dei ristoranti segnalati dalla guida non ancora provati, lo Spitfire a Gushlan, un quartiere piuttosto vicino al Radisson. Non ci sono auto Europcar e allora chiediamo un taxi. Invece del consueto taxi giallo arriva uno scassatissimo baby taxi blu (proprio dopo le raccomandazioni ricevute ieri); l'addetto dell'hotel ci dice di non preoccuparci e istruisce il tassista; a dir la verità un po' preoccupati, partiamo alla volta dello Spitfire. Una volta arrivati al quartiere il tassista, che ovviamente non parla una parola di inglese, inizia a chiedere informazioni ai risciò, e la preoccupazione cresce. E cresce ancor di più quando la polizia (notoriamente corrotta) ci ferma a un posto di blocco. Ci chiedono da dove veniamo e dove stiamo andando e che cosa ci facciamo a Dhaka; dopo aver risposto, ci lasciano andare senza neanche chiederci il fiorino (citazione cinematografica), anzi indicandoci la strada (hurray). Il fatto di lavorare per l'esercito ci ha indubbiamente aiutato. Mangiamo grill e barbeque, piuttosto gradevole. Ritorniamo lentamente all'hotel. Lentamente perchè il baby taxi è una vecchissima Suzuki Maruti che tocca la velocità massima di 30 km orari, emette rumori molesti e gratta ogni volta che l'autista cambia marcia. I tuk-tuk ci sorpassano senza difficoltà, e ad ogni buca il retro della macchina tocca l'asfalto. E immaginate noi che entriamo nel lussuoso Radisson Hotel a bordo di cotale calesse. Delirante.
Concludo con una foto panoramica dell'acqua di Dhaka, creata da 2 scatti a bordo dell'imbarcazione che abbiamo utilizzato per il nostro tour. Ingrandite per apprezzare.

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