venerdì, agosto 03, 2007

Cronache dal Bangladesh - giorno 14

OVVERO, gita a Panam City

Il buon Aqiq passa a prendermi al Radisson verso le 10:45; approfittando della bella giornata (ebbene si, il sole!), usciamo da Dhaka in direzione sud-est per dirigerci verso un villaggio nelle immediate vicinanze della capitale, sede anche di un sito archeologico risalente al secolo 14, durante la dominazione Moghul. Durante il tragitto Aqiq si ferma in uno dei numerosi mercati ittico-orto-frutticoli nei dintorni di Dhaka e compra una scorta di frutti locali: sarà il nostro pranzo.
Arriviamo al villaggio attraverso strade prima dissestate poi strette e circondate di specchi d'acqua. Una zona è interamente dedicata ai visitatori (ce ne sono molti che vengono dalla capitale), e contiene una fedele ricostruzione dei villaggi più remoti del paese, una piccola moschea e un piccolo museo, più un assortimento di negozi di artigianato che vendono bellissimi manufatti a prezzi bassissimi (e anche oggi, alla fine, spenderò i miei 160 taka in souvenir). Iniziamo la nostra passeggiata tra vegetazione lussureggiante, ponti di legno e bambu e specchi d'acqua, mentre Aqiq mi spiega ogni minimo particolare e dettaglio che ci circonda. Il sole valorizza i colori e scatto delle belle foto.
Ci fermiamo ad ascoltare una sorta di menestrello (BAUL è il nome locale) che canta e suona uno strumento a tre corde (DOTARA). Lo registro furtivamente con il telefonino. Ascoltatelo e vi sembrerà di sentire Giovanni (di Aldo, Giovanni e Giacomo) nella sua imitazione del sardo Nico. Noto che il Baul ha anche una certa somiglianza con Nico e mi scappa un sorriso.








Più avanti ci fermiamo ad osservare due tessitori (TATI), uno dei due è un bambino, che preparano uno dei bellissimi tessuti locali. Scopro che generalmente su un tessuto non lavorano più di 2-3 persone e per completarlo impiegano circa 15 giorni.

Il sole brucia e a metà del nostro tragitto ci fermiamo e compriamo due noci di cocco (il loro nome in lingua locale è DAAB): prima ne beviamo il latte interno (PANI) per mezzo di un foro direttamente nella parte superiore del frutto (più igienico che usare il bicchiere che mi veniva offerto dal venditore), poi ne mangiamo la polpa (LEOA); questa è più sottile e morbida di quella che usualmente mangio in Italia, e molto gustosa.
Fin dal nostro ingresso una graziosa bambina ci affianca e ci accompagnerà per tutto il tragitto, col suo vestitino verde e i piedini scalzi. Approfitta dei momenti di distrazione di Aqiq per chiedermi qualche taka. Alla fine le darò qualche spicciolo e metà polpa di cocco: sembra più contenta del cocco che non delle monete.
Ci dirigiamo verso l'uscita, e prendiamo un risciò per muoverci in direzione della vera Panam City (il sito archeologico). Il pover'uomo pedala faticosamente trasportando Aqiq ma soprattutto i miei 90 chili, ma non si ferma mai, nonostante ponti, buche, autobus e tuk-tuk, strade allagate. Facciamo un giro all'interno delle vie di Panam City (vedasi la foto che chiude il post, scattata direttamente dal risciò), tra vecchi edifici che si cerca di conservare nonostante le inondazioni e case abitate da gente veramente povera. Molte delle donne sono totalmente coperte dai loro veli (anche gli occhi), i bambini si divertono dentro gli innumerevoli specchi d'acqua (PUKUR è il loro nome) e gli uomini sono o affaccendati in qualche attività, o passeggiano o semplicemente siedono come ad aspettare qualcosa o qualcuno. Mi sovviene una affermazione del buon Munna di qualche giorno fa:
"Bangla people wait. They don't know what they are waiting for but they wait"
Molte delle costruzioni più vecchie non si possono visitare a causa delle inondazioni, e quindi il risciò ci riporta al punto di partenza, non prima di avere un incidente di percorso con una capra, in particolare con il filo che la tiene legata all'albero.

E' il momento di mangiare i frutti locali: mangio per prima degli spicchi di PEARA, una sorta di mela dalla scorza parecchio dura e con molti semini all'interno, che va generalmente mangiata con un po' di sale che ne esalta il gusto; poi è il momento del GAAB, un frutto dalla buccia rossa e dalla consistenza completamente differente rispetto al precedente: la polpa sembra quella di una banana. Quindi è il turno del JAMBURA, una sorta di pompelmo grande come un supertele sgonfio. Sebbene la consistenza degli spicchi e della polpa interna (l'unica che si mangia) sia di gran lunga superiore, il sapore è proprio simile a quello di un pompelmo.

Concludo in bellezza con il frutto nazionale. Il suo nome in lingua bengali è KATTAL, e lo vedete trasportato nella foto di fianco, ritaglio di uno scatto fatto a Sadarghat. E' una sorta di palla che può pesare fino a 40 chili dalla scorza durissima. La sorpresa è che, una volta aperta, la palla contiene una miriade di boccioli (che sono i soli frutti da mangiare) di color crema nascosti tra una selva di filamenti appiccicosi anche essi color crema. Per evitare di rimanere con le mani appiccicose, chi si occupa di aprire il frutto si spalma le mani con olio di cocco. Semplicemente fantastico.

Finito il pranzo, ripartiamo alla volta di Dhaka e del Radisson, e un felice sentimento di sazietà mi spinge verso la sonnolenza, mentre tutto intorno a noi c'è la solita confusione delle strade di Dhaka e dintorni. Ringrazio sinceramente Aqiq per la bella giornata e mi rifugio in camera per una sentitissima doccia.

E' stata una giornata veramente entusiasmante e interessante, e spero di aver ricordato tutte le cose essenziali che ho visto, sentito, conosciuto, gustato. Ma sono sicuro, anzi già mi sovviene cosa, di aver dimenticato qualcosa. Poco male, ne parlerò nei prossimi giorni.

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